A oltre 20 anni di distanza da Il posto dell’anima, Riccardo Milani torna in Abruzzo per una commedia a sfondo sociale, che sfrutta un territorio tanto suggestivo quanto vittima della precarietà per parlare di temi sempre più urgenti e importanti. Lo fa con Un mondo a parte, ambientato nel paesino immaginario di Rupe (ma girato fra Opi e Pescasseroli) e con protagoniste due stelle della comicità italiana come Antonio Albanese e Virginia Raffaele.
Al centro della vicenda c’è Michele, insegnante frustrato da anni di lavoro nel circondario romano, che vede inaspettatamente accettata la sua richiesta di trasferimento a Rupe, nel Parco Nazionale d’Abruzzo. Il suo entusiasmo iniziale, accentuato dalla sua forte vena ambientalista, viene però ben presto spento dalla vita di Rupe, vittima di un inverno rigido, di pochissimi punti di ritrovo e soprattutto dello spopolamento, che porta Michele a insegnare a una classe mista dalla prima alla quinta, composta da pochissimi bambini. Con il supporto della vicepreside Agnese e nonostante la chiusura mentale dei locali, Michele porta comunque avanti il suo lavoro, fino a quando la sopravvivenza stessa della scuola viene messa in dubbio da un ulteriore calo degli studenti. I due sono così costretti ad agire sull’orlo della legalità per assicurare un futuro alla scuola e a Rupe.
Dopo Corro da te e Grazie ragazzi, Riccardo Milani continua la sua esplorazione delle fasce più svantaggiate della società, con un racconto con diversi punti di contatto con Io speriamo che me la cavo e Benvenuti al Sud, che punta però i fari su uno dei problemi più gravi del Paese, ovvero il lento ma inarrestabile spopolamento dei piccoli centri abitati, strettamente correlato al calo della natalità. Un rapporto ribadito esplicitamente da Un mondo a parte, nel momento in cui si afferma che la chiusura della scuola di un paese anticipa la morte del paese stesso. Riccardo Milani si inserisce così in un dibattito aperto, prima fotografando la rassegnazione dei locali e a seguire mettendo in luce una delle pochissime vie d’uscita da questa fosca situazione, rappresentata dall’immigrazione.
È in questo frangente che Un mondo a parte tocca le corde tipiche del cinema di Ken Loach e dei fratelli Dardenne, tratteggiando le storture di un sistema che è possibile correggere solo mettendo al primo posto l’umanità, anche a costo di aggirare la legge e con un pizzico di cinismo. Lo spettro della chiusura della scuola, alimentato da un comune vicino più grande per mere finalità economiche, porta Michele, Agnese e il resto del personale scolastico a partecipare a un vero e proprio mercato dei bambini, attingendo tanto ai profughi ucraini in fuga dalla guerra quanto agli immigrati marocchini, già di fatto integrati nel tessuto sociale di Rupe, al punto da comprendere e parlare il dialetto locale.
Un mondo a parte si schiera dalla parte giusta, ovvero vicino agli ultimi e a chi vede minacciata la propria stessa sopravvivenza, per motivazioni diametralmente opposte a quelle biecamente cavalcate dai populismi di turno. Si perdona quindi volentieri a Riccardo Milani sia l’eccesso di retorica, sia un didascalismo che lo porta a ribadire concetti tanto lodevoli quanto chiari, sacrificando invece aspetti potenzialmente interessanti come la gestione quotidiana della classe e dei bambini da parte di Michele, messa progressivamente in secondo piano.
Ben più problematiche sono invece alcune sottotrame decisamente superflue, frutto probabilmente di qualche compromesso di troppo in fase di montaggio. Ci riferiamo soprattutto alla fugace parentesi dedicata a una ragazza che tenta il suicidio, durante la quale Un mondo a parte ricade nei peggiori abissi del cinema italiano, fra eccessi stilistici e pressappochismo della messa in scena. Una digressione che rischia di rovinare un progetto che in altri frangenti riesce invece a gestire in maniera efficace le comprensibili concessioni ai luoghi delle riprese, come l’utilizzo di persone comuni di Pescasseroli e dintorni (che conosciamo durante i titoli di coda) o gli spot da Film Commission durante l’atto conclusivo.
In un panorama cinematografico italiano che spesso finisce a non parlare di nulla e a non rivolgersi concretamente a nessuno, Un mondo a parte si rivela una piacevole eccezione, che pur non raggiungendo il livello delle opere citate o del recente cinema sociale francese dimostra di avere una propria ragione d’essere e di esistere. Fra risate, esagerazioni e semplificazioni, resta così impressa nel cuore e nella memoria la dolorosa parabola di Rupe, che come troppi piccoli comuni italiani è determinata a resistere (in linea con La restanza di Vito Teti) ma sempre più minacciata da progresso, emigrazione, denatalità e menefreghismo delle istituzioni.
Un mondo a parte è disponibile nelle sale italiane dal 28 marzo, distribuito da Medusa Film.
di Marco Paiano