Il Mediterraneo visto con gli occhi di una ragazza siriana è prima di tutto sinonimo di «pericoli che i suoi abitanti hanno vissuto e vivono». E non poteva essere altrimenti per chi viene da un Paese devastato dalla guerra. «Siamo provati da un lungo periodo di conflitto militare ed economico che ti fa dire che il mondo è pieno di male. Non è facile attraversare momenti bui quando si viene lasciati soli e senza alcun sostegno. Ma sappiamo anche che nessuno può toglierci la speranza», spiega Carla Ghoulam. Ha 25 anni e vive ad Aleppo, città martire del Medio Oriente. Si è appena laureata in medicina. E, quando racconta il suo sogno per il grande mare sul quale si affacciano tre continenti, lo immagina nel segno «della pace che abbracci l’intera regione», confida. Non un’utopia. Perché sa di non essere sola. Al suo fianco ha almeno quaranta coetanei di diciannove Stati legati al bacino che formano il Consiglio dei giovani del Mediterraneo. «Una scelta coraggiosa e forte quella di riunire noi ragazzi cattolici di tutta l’area per iniziare dal basso a gettare semi di riconciliazione», tiene a far sapere.
Carla è uno degli “ambasciatori” di fraternità che animano la consulta voluta dalla Cei come eredità dell’Incontro dei vescovi del Mediterraneo a Firenze nel febbraio 2022. Una sorta di piccolo Sinodo permanente, tutto laico e under 35, che dallo scorso luglio unisce le sponde. Infatti in estate, alla presenza del segretario generale della Cei, l’arcivescovo Giuseppe Baturi, si è insediato l’organismo che ha sede nel capoluogo toscano dove i giovani sono stati accolti dalle quattro realtà fiorentine cui la Conferenza episcopale italiana ha affidato il progetto: la Fondazione Giorgio La Pira, l’Opera per la gioventù Giorgio La Pira, il Centro internazionale studenti Giorgio La Pira e la Fondazione Giovanni Paolo II, onlus per lo sviluppo e la cooperazione nei Paesi più fragili. Quattro sigle che si richiamano all’eredità del sindaco “santo”, al suo impegno per il Mediterraneo, alla sua attenzione ai giovani che definiva “rondini in volo verso la primavera”. «Il nostro lavoro trae forza dal suo pensiero, dalle sue azioni, dal suo legare la Bibbia alla realtà del tempo, dalla sua visione sulla vocazione che devono avere le nazioni del Mediterraneo», afferma il libanese Emile Fakhoury, 24 anni e una laurea in cinematografia. Cattolico maronita, esperto di media, porta nel Consiglio l’impronta di un Paese che «va ritenuto un esempio di riconoscimento reciproco. Siamo i giovani della missione, dell’integrità e della pace».
I “testimoni di un Mediterraneo nuovo” tornano a incontrarsi il 4 ottobre. Stavolta online. In una seduta che collegherà Europa, Asia e Nord Africa. «Siamo chiamati a tradurre il Vangelo in azione civile», sottolinea Pilar Shannon Perez Brown, 25 anni, che è consulente risorse umane e rappresenta la Spagna nell’organismo. All’ordine del giorno si intrecciano sfide e iniziative sull’educazione, la promozione sociale, la vita di fede, lo scambio fra i Paesi. Con un punto fermo: la concretezza. «Fra noi c’è chi si dedica all’aiuto dei migranti che arrivano via mare in condizioni terribili, come Martina – prosegue Pilar -; chi guarda al campo della politica; chi a percorsi di volontariato che vanno dall’ambito ecclesiale a quello sociale. Il tutto sorretto dalla preghiera che è la leva su cui poggiare i nostri talenti e i nostri desideri». In agenda anche l’ipotesi di un incontro dei giovani del Mediterraneo per il Giubileo del 2025 e una serie di proposte sul fronte dell’«educazione che è una delle dimensioni essenziali per essere cristiani impegnati nel quotidiano», aggiunge Aleks Birsa Jogan. Ha 24 anni e, da giovane della Slovenia, ha nel suo bagaglio personale la «prospettiva di una società post-comunista». «C’è bisogno di una fede incarnata – avverte -. Certo, il cambiamento richiede tempo e, ancor di più, fiducia nella Provvidenza. Ma occorre partire dai piccoli passi che possiamo compiere negli ambienti dove viviamo, mostrando che la convivenza pacifica è davvero possibile».
“Fratelli tutti” è l’invito del Papa, ispirato al titolo della sua ultima enciclica, che il Consiglio fa proprio. «Francesco ci chiede di essere Buoni Samaritani – riflette Pilar -. E la risposta alla rabbia e al risentimento che taluni alimentano è la cura del prossimo. Tocca a noi giovani abbattere i muri del pregiudizio, le barriere storiche e culturali, gli interessi meschini». E la via è quella dell’incontro. «Il dialogo va considerato la base per costruire la pace – osserva Carla -. Vogliamo tessere relazioni positive che non vedano nel vicino un estraneo». Vale anche nei confronti di chi professa una religione diversa. «La Siria è un Paese islamico. Durante e dopo la guerra le relazioni fra cristiani e musulmani sono migliorate. La convivialità è non solo necessaria, ma attuabile. Basta imparare ad aprirsi all’altro e accoglierlo».
Articolo di Giacomo Gambassi per Avvenire.it